In un contesto socio-economico dove la tecnologia ha letteralmente invaso la nostra vita, un mondo impensabile fino a 20 anni fa, ha senso porle dei limiti in ambito lavorativo, se può agevolare la sicurezza? Ovviamente limiti diversi da quello da tutti condiviso del rispetto della privacy dei lavoratori. Domanda non così retorica, dal momento che un po’ di confusione sull’argomento ancora c’è. Non sono tanto le opinioni, le preferenze personali o le sensazioni a interessarci, ma cosa dice il legislatore.
I passaggi da capire sono pochi, ma importanti: cosa deve fare il datore di lavoro per garantire la sicurezza dei lavoratori (deve inteso come obbligo), come si sta evolvendo la normativa nei confronti di una tecnologia in continuo cambiamento, come garantire la privacy dei lavoratori.
I doveri del datore di lavoro
Il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza sul lavoro. L’obbligo di tutelare la sicurezza dei lavoratori è ribadito ed esplicitato in molteplici norme:
gli articoli 32 e 41 della Costituzione, in cui si dichiara che la salute è un diritto fondamentale degli individui e che l’iniziativa economica privata deve svolgersi in maniera tale da non arrecare danno alla sicurezza
l’articolo 2087 del codice civile, che stabilisce che l'imprenditore deve adottare le misure necessarie a garantire l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori
il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (decreto legislativo 81/2008), che tratta la materia in maniera organica
La sicurezza dei lavoratori è quindi una delle priorità del datore di lavoro, che ne risponde sia dal punto di vista amministrativo sia penale. É quindi opportuno che faccia tutto il possibile per assicurare la sicurezza dei lavoratori. Riprendendo l’articolo 2087 del codice civile, l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il legislatore ha quindi previsto l’uso della tecnologia per garantire la sicurezza: con il riferimento alla tecnica (vocabolo volutamente ampio) impone al datore di lavoro di adottare le tecnologie e gli strumenti di tutela più efficaci disponibili sul mercato, adeguandoli ai continui progressi. Ovvero, se la tecnologia fa passi avanti riguardo la sicurezza dei lavoratori, occorre non solo prenderla in considerazione, ma adottarla quanto prima.
L’evoluzione della normativa
Spesso però l’adozione di soluzioni tecnologicamente all’avanguardia pone problemi di altra natura, come quelli del controllo e della privacy. Pensiamo, per esempio, ai localizzatori GPS posizionati sulle vetture aziendali: utili per molti aspetti, ma in passato contestati perché consentivano al datore di lavoro di sapere esattamente dove si trovavano i veicoli e di conseguenza sapere dove fossero coloro che li guidavano. Un localizzatore può essere considerato invasivo per la privacy del lavoratore? Fino a circa un anno fa le opinioni al riguardo erano diversificate e talvolta contrapposte.
La normativa di riferimento è lo Statuto dei lavoratori del 1970, epoca in cui la localizzazione satellitare non esisteva ancora. L’articolo 4, comma 2 dello Statuto dei lavoratori, imponeva che le tecnologie (tra cui possiamo includere i sistemi di geolocalizzazione) fossero consentite soltanto previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale o autorizzazione da parte dell'Ispettorato nazionale del lavoro, anche qualora fossero impiegate esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale. Apriti cielo! Il datore di lavoro aveva un problema di non facile risoluzione…
Con la riforma dello Statuto attuata dal decreto legislativo 151/2015 si verifica uno spostamento interpretativo, chiarito anche dall’Ispettorato del Lavoro attraverso la circolare 2 del novembre 2016: i sistemi (ad esempio quelli di localizzazione) utilizzati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (la stessa non potrebbe essere resa con la medesima qualità, senza ricorrere al loro utilizzo) oppure richiesti da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (per esempio, il trasporto di portavalori per determinati importi) si possono ritenere dei veri e propri strumenti di lavoro e pertanto non necessitino di accordi collettivi o procedimenti amministrativi di autorizzazione. Quindi, per tornare al nostro esempio, quando i sistemi di localizzazione sono uno strumento per svolgere al meglio la prestazione lavorativa e funzionali alla mansione non hanno bisogno di autorizzazioni né dai sindacati né dall’Ispettorato del lavoro.
Pensiamo a quanta tecnologia che potenzialmente traccia itinerari e abitudini viene già impiegata dalle aziende: telepass e carta di credito solo per fare due esempi. Sono strumenti che consentono di essere localizzati. E non sono certamente indispensabili per la sicurezza. Il telepass serve all’azienda per far circolare più velocemente e in maniera più pratica il parco veicoli: è uno strumento che mette in condizione di lavorare meglio e nessuno fa grandi obiezioni sul suo uso in ambito aziendale, anche se indirettamente traccia i posti in cui viene adoperato. Serve per svolgere l’attività lavorativa, quindi si utilizza.
Privacy: l’importante è informare il lavoratore
La tecnologia è un normale strumento parte integrante dell’attività lavorativa. Ma la tecnologia è anche, in alcuni settori, il miglior alleato della sicurezza dei lavoratori. Pensiamo a chi fa manutenzione nei grandi impianti, a chi costruisce infrastrutture, a chi trasporta prodotti su strade e autostrade. Per questi settori un'efficiente sistema di localizzazione personale comporta due grandi vantaggi: una miglior gestione del personale e una garanzia di sicurezza dei lavoratori in caso di pericolo o imprevisti. Ed è una soluzione che soddisfa sia il datore di lavoro, che tutela la sicurezza dei propri lavoratori e può ottimizzare i processi di gestione, sia il lavoratore, che si sente più sereno e può contare su una supervisione da parte dell’azienda.
Certo il datore di lavoro è tenuto a informare adeguatamente il lavoratore sull’utilizzo dei dati trattati durante la localizzazione: la normativa sulla privacy (decreto legislativo 196/03) prevede che il lavoratore sia messo al corrente riguardo il trattamento dati fatto dall’azienda. Trattamento che risponde fondamentalmente a 5 principi: necessità, correttezza, determinatezza, pertinenza e non eccedenza, conservazione.
Il localizzatore professionale ArgoPro risponde sia all’esigenza di essere uno strumento funzionale della prestazione lavorativa sia alla prerogativa di essere uno strumento idoneo a incrementare la salvaguardia dei lavoratori. Rappresenta una valida soluzione di avanzata tecnologia a disposizione delle aziende per la gestione e la sicurezza del personale mobile.
ArgoPro è un progetto Uniquon
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